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PRIVATIZZAZIONI: UN AFFARE PER CHI ?






Gent.mo governo




In Italia, azzerare sprechi, privilegi e malversazioni sembra davvero un'impresa titanica, tanti sono gli interessi in gioco. In tempi di crisi e di spending review, per frenare la corsa al rialzo del debito pubblico risulta molto più facile mettere sul mercato e tentare di vendere beni immobili e servizi di proprietà dello Stato. Il rischio, tuttavia, è che il patrimonio degli italiani venga ceduto a buon prezzo per fare fronte alle impellenti esigenze di cassa. A denunciarlo è uno dei consiglieri della Corte dei Conti, l'organo dello Stato che si occupa del controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio pubblico, che in un'audizione al Parlamento ha sottolineato che, "considerato l'andamento del mercato attuale, sarebbe difficile effettuare una vendita che non degradi in una svendita". Sono in particolare i beni di maggior valore ed efficienza, i gioielli di famiglia, a rischiare di uscire dalla disponibilità collettiva, a tutto beneficio di chi ha denaro sufficiente per approfittare dei "saldi" e concludere l'affare della vita. Eppure le dismissioni, se mirate e realizzate seguendo rigorosi criteri di trasparenza, potrebbero davvero essere una risorsa, da utilizzare per ridurre, o per lo meno per impedire che aumenti, la già insostenibile pressione fiscale.

La vendita della propria casa per pagare i debiti è di solito considerata l'extrema ratio, da prendere in considerazione solo quando non si hanno più altre spese da tagliare. Eppure, è quello che fa lo Stato italiano da almeno una ventina di anni, da quando il debito ha toccato cifre da capogiro e i governi hanno iniziato a vendere immobili e servizi pubblici per tappare i buchi di bilancio. Le cartolarizzazioni lanciate nel 2001 dall'allora Ministro dell'Economia Tremonti per abbattere il deficit misero sul mercato decine di migliaia di immobili, molti appartenenti ad enti previdenziali, praticando sconti anche oltre il 50% agli acquirenti. Prima delle vendite, però, furono spesi milioni di euro per le ristrutturazioni, e alla fine del 2008 il progetto di privatizzazione si concluse con una perdita secca per l'erario di 1,7 miliardi.

Di fronte al disastro per i conti pubblici rappresentato dal programma di cartolarizzazioni avviato nel 2001, la Corte dei Conti denunciò in un impietoso rapporto di non essere stata messa nelle condizioni di svolgere la sua funzione 'di garante degli interessi dello Stato-comunità'. Il massimo organo di controllo finanziario nazionale sostenne di essere stata privato delle informazioni 'necessarie per valutare la convenienza sociale, i vantaggi e gli svantaggi per la collettività' delle privatizzazioni. Con l'effetto, si legge nel rapporto, 'di continuare ad alimentare tra i cittadini perplessità e riserve – magari anche infondate – sul modo di comportarsi di quanti si trovano a gestire beni pubblici. Il danno che consegue da questa mancanza di trasparenza è, quindi, anche in termini di ulteriore indebolimento della fiducia nelle istituzioni'.

La ricetta delle privatizzazioni è stata riproposta ancora negli ultimi mesi, per ripianare almeno in parte un debito pubblico alle stelle e tentare di tenere a bada lo spread. Il fatto che il mercato immobiliare sia ai minimi storici rende ancora più incerta l'entità dell'utile ricavabile dalle dismissioni, che l'esperienza insegna essere sempre di difficile determinazione quando si avviano processi di privatizzazione. Il patrimonio immobiliare dello Stato italiano si aggira intorno ai 1800 miliardi di euro, all'incirca l'equivalente del debito pubblico totale del Paese, ma non è chiaro quale parte di questa ricchezza possa essere messa sul mercato, con cifre che oscillano tra i 5 e i 500 miliardi a seconda dell'ottimismo di chi effettua la stima.

Di recente, il Wall Street Journal ha dedicato un'intera pagina ai palazzi, castelli e proprietà storiche italiane in vendita, avvisando gli investitori internazionali che potrebbe essere arrivato il momento per aggiudicarseli, approfittando della necessità del governo di fare cassa. Una volta superata l'endemica lentezza della burocrazia italiana, scrive il Wsj, agli investitori potrebbero aprirsi le porte delle caserme nel centro storico di Bologna, del millenario castello Orsini che domina Soriano sul Cimino nel Lazio, o del settecentesco Palazzo Diedo sul Canal Grande, fino al 2012 sede del tribunale di sorveglianza di Venezia e oggi messo in vendita per 19 milioni di euro insieme ad altre 17 proprietà nella laguna. Tra gli oltre 100 immobili in vendita a Milano, il Wsj menziona in particolare Palazzo Bolis Gualdo, nella prestigiosa Via Bagutta. Due secoli or sono, il Palazzo era crocevia di artisti da tutta Europa, che per ricambiare l'ospitalità dei Bolis Gualdo adornarono le stanze con affreschi poi sottoposti a vincolo dalla Sopraintendenza. Donato dall'ultimo degli eredi della casata ai milanesi affinché divenisse un polo culturale della città, è stato lasciato decadere dalle amministrazioni fino al misterioso incendio scoppiato nel 2011. Oggi lo Stato spera di ricavarci 31 milioni di euro.

Uno dei grossi problemi delle dismissioni è che circa il 70% degli immobili pubblici è utilizzato per lo svolgimento di attività istituzionali e che quindi, in molti casi, dopo la vendita scatta il riaffitto. Attualmente, la Pubblica Amministrazione occupa 11.000 immobili di proprietà di terzi, con una spesa per locazioni passive di oltre 1,2 miliardi annui che le ultime misure 'Salva-Italia' hanno cercato di calmierare con una riduzione unilaterale per decreto del 15% sul costo degli affitti pagati dallo Stato. Se alle nuove dismissioni dovessero far seguito nuovi contratti d'affitto, la situazione del debito pubblico a lungo termine non potrebbe che peggiorare. I cittadini finirebbero per pagare due volte: con l'aumento delle spese di gestione delle istituzioni e con la sottrazione del tesoro rappresentato dal patrimonio pubblico, magari venduto a buon prezzo per monetizzare e tamponare le uscite senza controllo del bilancio.

In un momento in cui le istituzioni nazionali e locali si apprestano a mettere sul mercato immobili e servizi per ripianare il debito, è necessaria la massima trasparenza per evitare che il patrimonio pubblico, ossia la ricchezza e la storia collettiva, sia sottoposto a speculazioni. Questo vale in particolare per i beni confiscati alla criminalità organizzata, per i quali è necessario un monitoraggio costante onde evitare che ritornino nella disponibilità delle stesse organizzazioni alle quali sono stati strappati con tanto sforzo. Purtroppo, la storia recente del nostro Paese riporta numerosi casi in cui le alienazioni e le locazioni, sottratte a ogni tipo di controllo, risultano sottostimate, come dimostrano gli scandali romani di svendopoli e affittopoli scoppiati negli ultimi anni, con immobili pubblici ceduti a prezzi ben al di sotto delle valutazioni di mercato o affittati a canoni di favore a beneficio dei soliti noti.





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